cinema

sabato 28 febbraio 2015

THE POP GROUP

CITIZEN ZOMBIE - 2015

Bruce Smith e Mark Stewart 

Un paio di album tra 1979 e 1980, giusto per segnare una svolta nel tracciato della contromusica giovanile. Quei ventenni “vestiti di grigio prima di Ian Curtis, che veniva ai nostri concerti con Julian Cope”, sul palco incarnavano il puro nichilismo più degli stessi Pistols, ormai canonizzati. Sarebbe seguita altra musica, incasellata sotto varie etichette, attribuita a molteplici nomi. E si diventa presto reduci, della serie “noi eravamo tutto prima”. Si coltiva il proprio culto di cult-band e si vive di esso. Mark Stewart ha continuato ad essere il giovane Mark Stewart per una vita intera.

Dopo trentacinque anni il Gruppo torna con una ‘nuova’ raccolta di inediti. Un nuovo album del Pop Group, con la stessa lineup del 1980. Per chi li ascoltava allora si tratta di un evento, da prendere con le molle. Perché operazioni come questa, in genere, sono patetiche e, di conseguenza, tristi. I quattro vanno per i sessanta e dalle varie interviste rilasciate da Stewart negli ultimi anni, tra le quali una molto bella a The Quietus, sembra proprio che nulla sia cambiato rispetto al ventenne iconoclasta. Anche le foto ‘promozionali’ del Pop Group fanno stringere il cuore. Si prova una certa soggezione di fronte al nuovo prodotto ed anche la paura di una delusione. Sarebbe quasi meglio lasciar perdere. Invece la tentazione è troppo forte, l’album va ascoltato.

C’è forse dell’ironia nel titolo Citizen Zombie, e sarebbe la cifra giusta per una reunion come questa, ma immediatamente, dalle prime note, non c’è alcun dubbio: è il Pop Group e gli zombie della title-track d’apertura sono gli altri, le masse stordite dal consumismo. Concetto non proprio originale! Stewart si prende molto sul serio. È, come sempre, convinto di essere il più grande situazionista in circolazione. Gareth Sager non tradisce il suo amore per la musica nera, in particolare per il funk, il marchio che caratterizza il Group da We Are All Prostitutes e She’s Beyond Good and Evil.

Superato lo ‘shock temporale’ di essere ripiombati a trentacinque anni fa, il disco si ascolta volentieri. Ci si diverte, si sta allegri. Il meglio dell’album si trova nelle tracce ‘ballabili’, da “haunted dance hall”, dove il Bowie del periodo Nile Rodgers si coniuga con quello abrasivo della trilogia berlinese.

Dopo ripetuti ascolti, ci si sente sollevati, Citizen Zombie regge. La paura di un penoso ritorno svanisce di fronte all’entusiasmo dei quattro, che ci danno dentro con lo stesso spirito di Y.


sabato 14 febbraio 2015

MICHEL HOUELLEBECQ

SOTTOMISSIONE - 2015



Tesi socio-politica up-to-date e molto ruffiana; autore decisamente antipatico; grandeur francese che fa rabbia; fortuna smaccata che farà vendere milioni di copie. Eppure il romanzo c’è, ed è anche scritto maledettamente bene, tanto che sarebbe diventato comunque un caso, indipendentemente dalle circostanze nelle quali si è trovato ad uscire.

Houellebecq sposta le traiettorie del presente in avanti di sette anni, tanto da permettergli di utilizzare le ‘figure’ reali del panorama politico-mediatico attuale, così da dare verosimiglianza alla storia, alle quali affianca sorprendenti new entries di finzione. Entro questa cornice futuribile si muove il protagonista che vuole essere il palinsesto dell’uomo nichilista occidentale, non sull’orlo, ma già irrimediabilmente sprofondato in una crisi ‘millenarista’. François è docente universitario, scapolo, che vive una vita la cui uniche preoccupazioni sono rappresentate dalle scadenze amministrative. Per il resto tutto si sussegue senza sussulti: lezioni sull’unico argomento che conosce, Huysmans; scopate con studentesse o escort scelte da cataloghi in rete; chiacchierate svogliate con colleghi altrettanto demotivati.

Messo in scena il protagonista, il romanzo assume il tono di un conte philosophique. Houellebecq ci spiega come la dinamica demografica è destinata a seppellire la società francese/occidentale nata dall’Illuminismo. Ma il romanzo diventa anche un testo di critica letteraria, nel quale si ricostruisce la vicenda esistenziale di Huysmans attraverso la sua produzione letteraria, quasi un universo parallelo a quello di François che infatti si troverà a far tappa negli stessi luoghi biografici dello scrittore tardo-romantico. Ci sono anche altri livelli di racconto, quasi un excursus tra generi diversi: romantico-sessuale, esistenziale, apocalittico. Houellebecq riesce a gestire e a tenere insieme questi sub romanzi, dando a Sottomissione il ritmo giusto, in cui tutto è funzionale alla tesi che costituisce la struttura del testo.


Leggendo qualche recensione ho notato che molti critici hanno cercato di isolare, nel romanzo, alcuni temi giudicandoli ridicoli o fuori luogo (in particolare, sembra che abbiano suscitato interesse le scene di sesso) oppure hanno bocciato la visione complessiva di Huellebecq stimandola irrealistica. Ripeto, credo che Sottomissione proponga la visione coerente di un romanziere in cui ogni particolare trova giustificazione nello sviluppo del testo stesso, dimostrando la maturità creativa dell’autore.

martedì 10 febbraio 2015

ABDULLAH IBRAHIM

EKAYA - 1983
MINDIF - 1988


I ragazzi si erano dati da fare tutto il pomeriggio per montare un assito di tavole. Ora che il sole, basso sull’orizzonte, dava tregua, si erano messi a sedere sulla sabbia e si passavano le bottiglie di birra. Una brezza salsa saliva dal mare e accarezzava, rinfrescandola, la pelle. Dai fornelli, dietro i cespugli dei tamarindi, salivano profumi invitanti. A levante il cielo era di un indaco intenso. Tra poco sarebbe spuntata la luna.

I musicisti si stavano preparando, qualche nota isolata illanguidiva la spiaggia. Incitamenti e battiti di mani erano il preludio della festa. Partì discreto il suono del gambray, delineando un movimento sinusoidale su cui s’inserì il flauto. Del sole restava una luminescenza verdastra sopra la linea scura dell’orizzonte. Dopo la sognante introduzione la festa entrò nel vivo. I colori di un mercato africano scoppiettavano sostenuti dalle frasi dei sax. Si alzarono tutti e cominciarono a ballare sull’instabile pista di legno.

I sette musicisti tirarono per una decina di minuti poi si presero una pausa con un brano più lento: un misto di blues del Delta e milonga portegna , dei quali tuttavia non aveva la tipica tristezza ma la sensualità contagiosa. L’assolo del bassista si sovrapponeva alla risacca che si infrangeva sui ciottoli della battigia.

Il ritmo tornava ad accendersi spinto dai chiari accordi delle tastiere che duettavano con i fiati, tra i quali si facevano largo per l’assolo, il sax tenore e il trombone. Nessuno poteva resistere. Nella sera c’erano sentori di deserto arabico e di Caribe, di western jazz e di foresta vergine. Una serata indimenticabile.







Dollar Brand, Abdullah Ibrahim dopo la conversione all’Islam nel 1968, è un musicista sudafricano. Nato nel 1934 al Capo, ha suonato con i più grandi musicisti jazz. Ad ottant’anni suonati, continua a fare concerti in giro per il mondo. L’album Mindif è la colonna sonora del film Chocolat, della sottovalutata regista francese Claire Denis.


lunedì 9 febbraio 2015

WHIPLASH

WHIPLASH
DAMIEN CHAZELLE - 2014




All’entrata del maestro di musica in classe gli allievi restano immobili, sembra quasi che non possano respirare. Asciutto, militaresco, vestito di nero, occhio acceso dalla febbre per il suo lavoro più che per la musica in sé. Ma le passioni, se superano un certo limite, diventano ossessive, morbose.

Andrew ha diciannove anni, più che la passione per la musica ciò che lo motiva è il desiderio di primeggiare, che lo porta ad isolarsi, a guardare gli altri come sfidanti da sconfiggere. Tale atteggiamento competitivo,  più che del musicista è tipico dello sportivo. Anche Andrew supera il limite.

Whiplash racconta questo superamento del limite, che diventa per entrambi ossessione, il quale, indipendentemente dalla musica, deve manifestarsi con l’esibizione dello scalpo, del trofeo, sia esso la vittoria al concorso scolastico o la conquista del posto di batterista base. Questo è molto distante dallo spirito musicale, artistico, umanistico. Ma di umanistico, e verrebbe da dire, di umano,  c’è ben poco nel rapporto tra maestro e allievo.

Nella prima parte del film viene raccontato l’incontro, l’immediato riconoscimento e l’impostazione relazionale tra i due protagonisti. I quali hanno capito tutto fin da subito, quindi ciò che il regista propone è un crescendo di situazioni, verrebbe da dire inutili, che giungono al sadismo. Il maestro, ovviamente più navigato, conduce il gioco al massacro e di vero e proprio massacro si tratta, con relativo spargimento di sangue. Gocce di sangue sporcano la batteria. Tale cattiveria non può essere giustificata dall’assunto educativo che non bisogna mai gratificare l’allievo dicendogli ‘ben fatto’. Secondo il maestro, infatti, solo mortificando l’allievo si potrà ottenere da lui il massimo.


Se la tesi che il regista propone è fastidiosa e discutibile, non per questo il film non è riuscito. Tutt’altro. Nella parte finale si succedono sorprese e cambi di prospettive emozionali che ribaltano continuamente le situazioni. Regia da migliori serie Tv (Glee, Fame); attori un po’ troppo da Metodo Stanislavskij. Ottimo prodotto.