cinema

martedì 16 settembre 2014

FRIEDRICH DÜRRENMATT

DER VERDACHT - 1953
IL SOSPETTO




L’arrivo della cavalleria giunge in tempo per salvare i viaggiatori assaliti da Geronimo e le truppe francesi del generale Lasalle espugnano le segrete dell’Inquisizione un attimo prima che il pendolo compia l’ultima oscillazione.

Forse Bärlach avrebbe dovuto prendere tempo e non cacciarsi a capo fitto tra le zampe del ragno ma il tempo è proprio ciò che mancava al Vecchio commissario bernese. Come impietosamente viene ricordato dall’orologio che scandisce il passare delle ore e dei minuti.

La guerra è finita da pochi anni. L’orrore dei campi di sterminio, nati e cresciuti nel cuore evoluto della cristianità, toglie il respiro e la voce anche nel paradiso elvetico, simbolicamente rappresentato dal paradiso/inferno della clinica Sonnenstein.

La guerra è finita da un numero di anni sufficiente a garantire la stabile ripresa del progresso, del capitalismo, della modernità ma il nuovo Occidente è una carogna in putrefazione. Sadici, morfinomani, nani e giganti, alcolizzati e malati terminali popolano il romanzo di Dürrenmatt che, come sempre, si pone domande sul senso della vita, sulla giustizia, sulla tirannia, sulla libertà.

Nei primi anni Cinquanta, con disincantata eleganza, in un breve romanzo giallo, Friedrich Dürrenmatt condanna il comunismo, condanna il capitalismo e la religione istituzionalizzata e mette a fuoco il rapporto sado-masochistico tra vittima e carnefice, tra cacciatore e preda dove preda e cacciatore si scambiano ripetutamente i ruoli.

Si dice che la giovinezza finisce quando si tornano a leggere libri già letti. È quello che da qualche anno mi capita con sempre maggiore frequenza. Dostoevskij, Sciascia, Nabokov, Montale. E Dürrenmatt.  


mercoledì 3 settembre 2014

ASCENSORE PER IL PATIBOLO

ASCENSEUR POUR L'ÉCHAFAUD 

LOUIS MALLE - 1958







Il primo lungometraggio di Louis Malle si è conquistato la fama di capolavoro da non mettere in discussione. È senz’altro un bel film ma forse i meriti, alcuni pregevoli, sono stati eccessivamente enfatizzati. Infatti, ad una prima visione ci si lascia affascinare dai diversi colpi ad effetto impiegati come fuochi d’artificio che riescono a distorcere il giudizio in senso entusiasticamente positivo ma che ad una seconda visione lasciano emergere una sensazione di effimero che delude.

I due punti di forza del film sono Jeanne Moreau e Miles Davis.

A partire dal primissimo piano che occupa l’intero schermo, prima ancora dei titoli di testa e poi per tutto il film, l’attrice francese sprigiona la passione, la disperazione, la speranza ed infine la perdizione che una folle amante riesce a provare nelle varie circostanze in cui si trova coinvolta.

La colonna sonora appositamente composta dal musicista americano accompagna, connotandoli, personaggi e momenti salienti del film creando quasi sempre ambienti e situazioni che superano, in densità e acume, il lavoro del regista. Vedi il brano che sottolinea la scena dell’omicidio iniziale, riproposto poi all’interno dell’ascensore. Pezzo perfetto ben più incisivo dell’interpretazione dell’inespressivo Julien.

Questi due punti di forza costruiscono la sequenza più bella, in cui Jeanne Moreau passeggia sullo sfondo di vetrine illuminate lungo i marciapiedi affollati con Davis che interpreta Florence sur les Champs-Élysées. É il momento più alto del film, che da solo basta a giustificarne la fama.

Interessante, anche se più didascalica, la fotografia. Bianchi e grigi perlacei molto nitidi e tecnici nelle scene diurne nella sede della società di Carala; grigi pulviscolari viranti verso i bruni per le strade notturne bagnate dalla pioggia e verso i chiari all’alba in Boulevard de Grenelle; bianchi e neri fortemente contrastati nelle scene dell’interrogatorio.

Il resto, che è poi la struttura del film, scivola nello standard con qualche leggerezza da opera prima, forse generata dall’entusiasmo di aver girato momenti davvero sublimi capaci di offuscare, con la loro lucentezza, quello che è proprio di una narrazione cinematografica di genere, vale a dire il plot. In certi passaggi esso risulta davvero improbabile, come in tutta la linea narrativa dei “giovani idioti”. Ed incongruenze emergono pure nello sviluppo del racconto principale e nella sua conclusione. 
Decisamente superiore, per restare nel genere e in quegli anni e sempre a Parigi, Rififi di Jules Dassin.


Però c’è quella camminata di Jeanne Moreau e la tromba di Davis…






Questo post è dedicato ad Ilaria