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giovedì 13 marzo 2014

LIBANO

PRIMAVERA DI GUERRA?


 19 Febbraio 2014. Bomba presso centro culturale iraniano a Beirut. Reuters


La guerra civile in Siria sta trascinando nel caos anche il vicino Libano. Come altre volte nella storia recente, instabilità esterne provocano ripercussioni nel piccolo paese di monte e di mare che, nonostante tutto, trova sempre il modo per rilanciarsi. Questo grazie ad una tradizione mercantile e borghese che negli altri paesi arabi troppo spesso è stata sopraffatta da invadenti ideologie, laiche o religiose che fossero. 

All’interno del mondo arabo il Libano è infatti per molti aspetti un’eccezione. A volte considerata come il fiore all’occhiello, altre blasfemo esempio da condannare. E comunque i libanesi hanno un innegabile istinto per il business. Possiamo trovare uomini d’affari di Beirut o di Tripoli tra i finanziatori di imprese impossibili dall’America Latina all’Africa Subsahariana per citare luoghi diversi dai soliti financial hubs di Londra o Singapore. Tanto per fare qualche esempio, l’uomo più ricco del mondo, secondo Forbes, è il messicano di origine libanese Carlos Slim. Oppure i boss di Swatch, Chiquita, Nissan e Renault. Ma che paese è il Libano e perché dall’estate del 2013 sempre più attentati sconvolgono la costa dei cedri?

Intanto va chiarito che il Libano è un paese di lingua araba ma dal punto di vista etnico-religioso le cose sono un po’ più complicate tanto complicate che ci si chiede come possa esistere un’identità nazionale in una tale nazione-mosaico. Ci si chiede anche quanta differenza passi tra un druso siriano di Sweida e un druso libanese della Beqaa o, per contrasto, quanto simili siano uno sciita di Tiro e un maronita di Batroun. Ma questi sono interrogativi che solo un “esterno” può porsi.

Comunque l’anarchia siriana sta producendo un milione di profughi in libano, paese che non raggiunge i cinque milioni di abitanti tra i quali vivono ancora oggi centinaia di migliaia di palestinesi rifugiati dal post-1948.

Ed ecco che, dopo la guerra civile, l’occupazione siriana, gli interventi israeliani, gli attentati devastanti, proprio quando si sperava che i libanesi potessero tornare a godersi i caffè del lungomare e a riallacciare i loro contatti commerciali internazionali torna l’incubo del caos prezzolato. Si colpisce il quartiere sciita di Beirut, Hezbollah fa fuori personalità sunnite. Esplodono autobombe davanti all’ambasciata di Teheran, gli sciiti rispondono con gli šuhadā suicidi. E la frontiera tra Beirut e Damasco viene continuamente attraversata nei due sensi da profughi, qaedisti, consiglieri iraniani, falangisti assoldati dal Mossad. 

Perché la storica rivalità religiosa sta tornando a livelli di massimo allerta. Gli sciiti libanesi appoggiano il dittatore siriano Assad che appartiene alla setta sciita degli alawiti, mentre i ribelli siriani sono in prevalenza sunniti e ricevono aiuti dai sunniti libanesi. Dalla scorsa estate sono tornati gli attentati a Beirut, dietro ai quali, oltre alle divisioni interne, si stanno intrecciando fili che portano lontano, oltre confine: Iran, Siria, alcuni Stati del Golfo.


Da circa  un mese si è insediato un nuovo governo, a prevalenza sunnita ma con appoggio di cristiani e sciiti, il cui compito principale è quello di garantire la sicurezza nazionale, con un occhio oltre il confine est, verso Damasco.

Carta elaborata da Michael Mehrdad Izady, Columbia University


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