cinema

mercoledì 15 febbraio 2012

PAUL CELAN

DIE NIEMANDSROSE
LA ROSA DI NESSUNO - 1963




Era da qualche anno che non tornavo ad immergermi nella poesia di Paul Celan. Poeta conosciuto alla fine del secolo scorso, grazie ad una bellissima mostra di Anselm Kiefer alla Biennale di Venezia, nelle cui opere sono molto evidenti le citazioni dei miei amatissimi Mandel’štam e Celine e dello stesso Paul Celan.

Papavero e memoria è stata la prima raccolta pubblicata dal poeta ed anche il suo primo libro che ho letto. A seguire Di soglia in soglia e Grata di parole. Ma è con l’attuale lettura de La rosa di nessuno che posso dire di essere veramente entrato in contatto con l’universo poetico-esistenziale di Paul Celan. Ed era da molto tempo che la poesia non mi trasmetteva una pienezza di soddisfazione come sta avvenendo in questi giorni di ripetuta lettura dei testi della raccolta e della loro meditata assimilazione.

Die Niemandsrose esce nel 1963 e nonostante la profonda tragicità dei temi trattati, in esso si possono trovare anche momenti di luminoso slancio verso il futuro. Il libro è suddiviso in quatto parti. Nella prima parte vengono enucleate le varie tematiche in componimenti generalmente brevi nei quali, specie a livello formale, ben presente è l’influsso di Mandel’štam, poeta che proprio in quegli anni Celan aveva tradotto e al quale è dedicata la raccolta. Nella seconda parte l’attenzione si concentra sulla parola e sulla difficoltà della comunicazione lirica. Si accumulano termini-chiave come pietra, nulla, vuoto, parola, in poesie che negando cercano disperatamente di affermare.

La terza sezione è come un momento di pausa, un raccoglimento che si apre anche agli affetti familiari e che prepara all’ultima sezione, nella quale il fino ad ora trattenuto lirismo irrompe e il discorso poetico diventa ‘impazzito d’acqua che straripa’ per citare un verso di Mandel’štam. La parola, iperconcentrata, esplode frammentandosi in rimandi che penetrano nell’interiorità storica, psicologica e geografica del poeta. I testi, ora più lunghi, sono viaggi nel profondo e nel cosmo, secondo un verticalismo che dal sottosuolo dostoevskiano sale all’etere delle Elegie duinesi di Rilke.

Tornare a Paul Celan è stato molto di più di una lettura. È stata un’esperienza di completo appagamento.

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