cinema

lunedì 31 ottobre 2011

EMIL CIORAN / GIANFRANCO RAVASI

IL DEMIURGO CATTIVO - 1969 /
LECTIO MAGISTRALIS 11 OTTOBRE 2011



L’amico Gianpaolo  mi ha suggerito di leggere un articolo sull’Osservatore Romano di Monsignor Gianfranco Ravasi.

Il cardinale, in occasione del conferimento di una laurea honoris causa da parte dell’Università di Bucarest, intrattiene l’uditorio con una lectio magistralis che omaggia due grandi intellettuali rumeni del Novecento. La scelta del cardinale è sorprendente.

Le chiare e competenti riflessioni non hanno per oggetto figure quali Mircea Eliade o Petre Tutea, come ci si sarebbe potuti aspettare ma Emil Cioran e Eugène Ionesco e basterebbe questa scelta a dar immediata prova dell’acume intellettuale del cardinale.

L’intervento è piacevole e stimolante, tanto che sarà opportuno leggere i citati testi di Ionesco (Note e contronote, Diario in briciole, La lezione). Oltre ad aver ispirato interessanti percorsi di approfondimento altro merito dell’articolo è quello di poter tornare su un autore di culto come Cioran, riavvicinato, dopo molti anni, proprio un paio di mesi fa.

Alla luce della recente lettura de Il demiurgo cattivo, la scelta di Ravasi è particolarmente apprezzabile perché il suo giudizio sull’opera dell’esule rumeno è quello di un ammirato ed attento lettore. E questo nonostante la feroce critica nei confronti del cristianesimo. Partendo dal Nietzsche della Gaia Scienza, in questa collezione di saggi brevi Cioran afferma che “la creazione è una colpa, voluta da un dio infelice e cattivo, un dio maledetto, essa è l’opera di un dio senza scrupoli, un dio tarato ”. In un altro passo Cioran critica anche gli atei, i quali “ricorrendo all’invettiva dimostrano di prendere di mira qualcuno. La loro emancipazione è meno completa di quel che pensano: si fanno di dio esattamente la stessa idea di chi ci crede ”. Con le sue apparenti invettive contro dio Cioran sembra porsi tra le schiere degli atei ma esse non sono tali perché il fine della sua critica, che più che critica è una desolata constatazione, è l’esistenza umana. È la disperazione di un pensatore che cerca qualcuno a cui attribuire la colpa della propria afflizione esistenziale.

Proprio su questo ‘non ateismo’ Ravasi sofferma la lente attraverso la quale interpretare la figura del grande rumeno, giungendo all’acuto giudizio: “Cioran è, quindi, un ateo-credente sui generis. Il suo pessimismo, anzi, il suo negazionismo riguarda piuttosto l'umanità. L'uomo ti fa perdere ogni fede, è una sorta di dimostrazione della non esistenza di Dio ed è in questa luce che si spiega il pessimismo radicale di Cioran. E qualche volta è difficile dargli torto, guardando non solo la storia dell'umanità, ma anche il vuoto di tanti individui che non ha niente del tragico Nulla trascendente ”. Non c’è che dire, veramente sorprendente il cardinale.

domenica 23 ottobre 2011

VASILIJ GROSSMAN

VITA E DESTINO - parte 2

La prima edizione italiana, 1984


Il luogo principale dell’azione narrativa è Stalingrado sotto l’assedio dei nazisti. Il tempo è l’autunno del 1942. I protagonisti sono i componenti di una famiglia russa. Il narratore segue dall’alto e dall’interno le decine di personaggi, tra principali e corollari e si concede prolessi e analessi, per cui il tempo si dilata al periodo pre-bellico, in particolare alla ‘collettivizzazione’ del 1937, fino ad alcuni riferimenti al dopoguerra. Anche il campo geografico dell’azione si amplia e dal Volga arriva al Caspio, agli Urali, a Mosca, con qualche puntata fino a certi luoghi della Germania hitleriana. Gli ambienti sono i più diversi. C’è il lager tedesco, quello sovietico, il laboratorio di fisica e la centrale elettrica, le postazioni militari, la Lubjanka, la città assediata. E ci sono i commenti, le considerazioni, i pensieri riportati in prima persona dai vari personaggi ma anche dallo stesso narratore.

Grossman rimane all’interno della grande tradizione realista russa ed ha come riferimento Guerra e Pace. Due infatti sono i temi strutturali del romanzo, come lo erano nell’opera tolstoiana. La vita e la Storia. Per tutte le quasi novecento pagine è la vita articolata nelle sue magmatiche sfaccettature che si presenta davanti al lettore. Vita che si oggettivizza nella prassi quotidiana o prende forma di rielaborazione del vissuto che consente la formulazione di verità. I personaggi o l’autore grazie all’esperienza giungono alla conoscenza e il lettore viene reso partecipe di questo dipanarsi dei destini e delle consapevolezze come se assistesse in sala operatoria ad una operazione. Ma non è la freddezza del chirurgo a segnare il tratto distintivo del romanzo quanto la passione dello scienziato che sta sviluppando la teoria che inseguiva da anni. E materia di questa teoria è l’altro tema fondamentale, la Storia. E se in Guerra e pace la riflessione si focalizzava sul periodo napoleonico, in Vita e destino il nodo problematico non può che essere il Comunismo.

E così le singole vite dei vari Štrum, Krymov, Mostovskoj, Ženia si intrecciano alle vicende storiche e rendono possibile una tremenda conclusione: le idee di Lenin che avevano portato alla grande rivoluzione del 1917 si sono trasformate nello Stalinismo e il Comunismo sovietico si è sovrapposto, fino alla coincidenza, con il Nazismo. Questa è la verità che i vari personaggi, tutti profondamente comunisti giungono a percepire ma che da veri proletari leninisti non vogliono accettare.

La coincidenza tra l’URSS di Stalin e la Germania nazista è invece teorizzata senza la minima angoscia dal rappresentante delle SS Liss, direttore del Lager tedesco, dove si svolge una delle tante scene strepitose del romanzo, l’interrogatorio tra Liss e l’eroe bolscevico Mostovskoj.

Tra i numerosi momenti di grande letteratura che questo romanzo ci offre, uno particolarmente significativo è l’ultima lettera prima dell’esecuzione che l’ebrea Anna Semenova immagina di scrivere al figlio, il fisico Štrum. Pagine che andrebbero lette a scuola.
L'edizione Adelphi del 2008


giovedì 20 ottobre 2011

VASILIJ GROSSMAN

VITA E DESTINO - parte 1
VASILIJ GROSSMAN - 1960

Alexander Deineka, L'assedio di Sebastopoli, 1942


Un mese, c’è voluto quasi un mese per leggere Vita e destino. La vita è libertà dice Grossman, in questo caso la vita diventa letteratura e, seguendo il sillogismo, si potrebbe concludere che la letteratura è libertà.

Leggere questo romanzo è stato un ritorno al passato, ad analoghe imprese di lettura giovanili: Guerra e pace, Delitto e castigo, Oblomov, Zivago. Come questi capolavori Vita e destino si impone sin dalle prime pagine come ‘classico’, nel segno della grande tradizione realista russa. Si tratta infatti di un libro profondamente russo, anzi, esso rappresenta il romanzo-testimonianza di un’epoca. Per conoscere e comprendere a fondo il periodo staliniano basta seguire le vicende e i pensieri di uno qualunque dei personaggi di questa immensa ‘fabrica’ narrativa. Il comunista Grossman ha costruito un’opera comunista in cui vengono narrate, con tecnica da soap televisiva ripresa da Tolstoj, le vite di ‘eroi’ comunisti.

All’inizio risulta complicato orientarsi tra le molte locations, tra i numerosi personaggi: come la vita, il romanzo di Grossman è vario e affollato. Ma bastano poche pagine per rendersi conto che siamo di fronte ad un capolavoro, ad una costruzione tentacolare che stringe a sé, avvince e non permette di staccarsene. Ecco che la letteratura diventa vita, ecco che il lettore accompagna i destini di questi uomini e donne, individui che emergono progressivamente dalle masse e assumono distinte e complesse personalità.

Nel romanzo non ci sono solo le storie dei singoli nello scenario della Grande Storia. Inevitabilmente nella narrazione si rispecchia la biografia dell’autore. E come per il varie volte citato poeta Mandel’stam, vittima e successivamente mito delle epurazioni staliniane, anche Vita e destino diventa vittima e mito delle epurazioni degli anni ’60. Proprio perché la letteratura è libertà, il romanzo di Grossman doveva essere distrutto, non doveva restarne alcuna traccia.

Per nostra fortuna, amici dello scrittore hanno rischiato la vita per salvare il manoscritto. I microfilm, molti anni dopo la morte dello scrittore, sono passati attraverso la cortina di ferro e negli anni ’80 il romanzo è stato pubblicato in Occidente.

Il comunista Grossman, scrittore ufficiale al seguito dell’Armata Rossa, pur sconfitto in vita, con il suo romanzo ha contribuito a distruggere il socialismo reale, una delle più assurde e tragiche esperienze della Storia dell’Uomo.
Alexander Deineka, Futuri piloti, 1939

Alexander Deineka, Espansione urbana a Mosca, 1949




giovedì 13 ottobre 2011

JAMES BLAKE

JAMES BLAKE - 2011




Con l’omonimo album d’esordio di James Blake siamo al post dubstep!

Il ragazzo aveva inciso qualche EP che Pitchfork, la webzine di riferimento per la ‘best new music’, aveva inserito tra le migliori uscite dell’ anno scorso. Francamente eccessivo il giudizio dei sommi critici americani, i brani del giovane inglese lasciavano sì trapelare qualche buona idea sommersa però da un insistito tessuto sonoro tutto sommato monotono e poco originale.

Ma ecco che all’inizio del 2011 esce il primo album e il talento supposto trova modo di dispiegarsi in tempi più lunghi e meditati e il risultato è un album sorprendentemente maturo e convincente.

Si diceva che siamo al superamento del dubstep, che resta come impostazione di fondo ma qui la ricerca da un lato sfronda la ripetitività delle prime prove, dall’altro va in profondità verso una musica che crea volume, tridimensionalità.

Quest’opera prima può essere definita di ingegneria sonora. I brani hanno una struttura semplice e ben definita che lascia molti spazi vuoti che acquistano consistenza grazie ai suoni, i quali si oggettivano proprio in virtù del loro contrasto con gli attimi di silenzio, con le pause, le dilatazioni. Le tracce di James Blake sono moduli architettonici, cubi che si riempiono di suoni e silenzi, pieni e vuoti. L’album si costruisce come edificio. In questa architettura la voce di James si declina in varie sfumature, con o senza l’aiuto dell’elettronica e del vocorder, voce che è il tratto distintivo del disco. Accanto ad essa si avvicendano i vari strumenti, nel segno della variazione e procedendo quasi per sottrazione in modo da caratterizzare ogni traccia.

Un solido frame work su cui si dispiegano minimalisti contrappunti melodici. Questa volta l’accordo con Pitchfork è pieno: quella di James Blake è ‘best new music’.

Stesse idee chiare negli ottimi video!



p.s. questo disco e bon iver sono i dischi che ho maggiormente ascoltato quest’estate. ho saputo con sorpresa che james blake e justin vernon hanno realizzato un brano in collaborazione per la bbc, mandato in onda il 24 agosto. collaborazione, per me che apprezzo i due musicisti, molto gradita. Sembra proprio che le cose non avvengano mai per caso. cercherò di saperne di più e magari di riuscire a sentire qualcosa. certo, un disco in coppia sarebbe molto interessante. aspettiamo, chissà.

martedì 11 ottobre 2011

GUIDO MORSELLI

DIVERTIMENTO 1889
GUIDO MORSELLI - 1975



Il libro è un oggetto che non si dematerializzerà. Ciò significa che l’ ebook si diffonderà ma non potrà sostituire il testo fatto di carta e inchiostro. Anche perché un libro non è solo ciò che vi si legge ‘dentro’ ma qualcosa che ha un peso, occupa uno spazio, ha consistenza fisica e toccarlo, sfogliarlo, tenerlo tra le mani e guardarlo sono tutti gesti che hanno potere evocativo ed estendono il suo contenuto letterario.

Per certi libri questo valore aggiunto è particolarmente significativo. È il caso di Divertimento 1889. Intanto è un romanzo di Guido Morselli, autore amato oltre che per la sue ineccepibili capacità di narratore anche per l’aura che emana la sua vicenda biografica. Morselli è uno dei rari beautiful losers della letteratura italiana. Morto suicida dopo il solito rifiuto di pubblicazione, i suoi romanzi sono stati pubblicati solo dopo la sua morte. Ma il libro, inteso come oggetto, ha per me un altro valore. Era nella libreria fin dalla sua uscita, nel 1975, con la riproduzione da ‘signorina Felicita’ sulla copertina azzurrina. Il libro mi ha seguito nei vari andirivieni abitativi fino alla sua scomparsa. Niente, perse le sue tracce da una ventina d’anni. Ultimamente mi è tornato in mente e l’ho ricomprato, la veste grafica è cambiata, però il piacere di esserne tornato in possesso è stato grande, anche se resta il rimpianto per quella prima edizione. Ma libro-oggetto a parte, le pagine contengono una storia…

Il romanzo ricrea l’atmosfera di fine Ottocento, l’ambiente socio-politico e culturale utilizzando gli stilemi e la struttura dell’operetta galante. Tradimenti, equivoci, travestimenti, colpi di scena. I personaggi sono il re Umberto I e il suo entourage burocratico-cortigianesco, fatto di caratteri che rappresentano l’Italia unita (un toscano, un bolognese, un piemontese, un calabrese, la veneta) con i tipici addentellati morselliani mitteleuropei. La vicenda si svolge infatti in Svizzera tra le amenità del tourisme nascente. Le trovate dell’intreccio si susseguono a ritmo incalzante con intelligenti risvolti psicologici e di erotismo mai troppo sottolineati. Morselli non solo ha un gusto sopraffino ma mantiene anche piena padronanza della materia che tratta e soprattutto ha straordinarie capacità nell’uso della lingua. La lingua in questo Divertimento è duttile, si adegua perfettamente alle situazioni e ai personaggi con mimetismo mai pedante. Tutto resta lieve e gli inserimenti in tedesco, in francese o nei vari dialetti italici non sono mai caricati ma vengono utilizzati come svolazzi connotanti. Niente da dire, Divertimento 1889 è un gran bel divertimento ed un’ulteriore prova del supremo talento incompreso di Guido Morselli.


mercoledì 5 ottobre 2011

DAVID CRONENBERG / FRIGIDAIRE

CRASH / RANXEROX
1996 / 1982




James Ballard è scrittore visionario e senz’altro la sua iniziale produzione di fantascienza può considerarsi ‘classica’, con capolavori come il celebrato Vento dal nulla, letto in un’ormai introvabile edizione Urania, o il bellissimo Now: Zero. Successivamente l’interesse dello scrittore inglese si è spostato verso l’indagine dell’inconscio con risultati letterari non all’altezza del suo primo periodo. Comunque Crash, per la tematica trattata, costituisce un momento significativo nella bibliografia di Ballard e, considerato per l’appunto il tema, quasi inevitabile l’incontro con David Cronenberg, l’autore, tra l’altro, di Fast Company.
Il film spiazza e lascia interdetti. Nel mettere le mani in una materia come il sesso e le macchine, Cronenberg sceglie il distacco freddo ed esteticamente questa può essere una scelta condivisibile. I  cinque caratteri del film finiscono per sperimentare quasi tutte le possibilità di accoppiamento tra di loro come un pilota alle prese con il collaudo del parco macchine dell’officina, coerentemente con lo spirito del film. Solo che dopo un’apertura magistrale, il risultato risulta ripetitivo, senza un vero e proprio sbocco narrativo. Gli accoppiamenti e gli incidenti finiscono per avvolgersi su loro stessi annoiando. Per trasmettere il ‘senso’ della storia più che sufficiente la  prima scena, con il seno sul lucido metallo e un anulingus filmato con una fotografia da sala operatoria.
Buona la trovata dello show che ripropone incidenti famosi, ma il resto è accademia stanca. Un esempio per tutti: il rapporto tra Spander/Ballard e Arquette/Gabrielle in auto, le protesi che si incastrano tra sedile e volante, il primissimo piano delle cicatrici rientra in pieno nel contesto visivo/visuale postmodernista che nel 1996 era ormai archiviato da tempo, se già appariva datato in Wild at Heart di Lynch del 1990.
Ho visto Crash solo ora (ai tempi dell’uscita avevo sentore di rancido), stimolato dal bellissimo Drive, e devo dire, nonostante sia un estimatore di Cronenberg, che il film di Refn è decisamente superiore anche se si tratta di due prodotti decisamente diversi.
Per restare in tema postmoderno, la visione di Crash non ha potuto non farmi tornare alla mente un vero capolavoro di quella stagione. Era il 1982 e rimasi sconvolto dalle immagini che ripropongo, altro che Crash. Tamburini e Liberatore anticipano Cronenberg di tre lustri! (e magari alle immagini assocerei come colonna sonora i Throbbing Gristle).




lunedì 3 ottobre 2011

NICOLAS WINDING REFN

DRIVE
NICOLAS WINDING REFN - 2011





La prima scena è una rapina di cui vediamo solo la fuga in macchina. Fenomenale. Lo sceneggiatore ci sorprende, il regista gira in modo rigoroso, senza una sbavatura, la fotografia in notturna è perfetta, l’attore buca il video.

Il film si mantiene sul filo del rasoio fino alla fine. Potrebbe essere un Pulp fiction rallentato e romantico ma questo suonerebbe riduttivo, in realtà siamo di fronte ad un cult, ad un prodotto Usa girato con sensibilità europea, con buon gusto, senso della storia e grande stile visivo. È il film che Wenders non è mai riuscito a girare e che Kitano avrebbe reso manieristico. Qui è tutto al posto giusto. Il protagonista non ha nome e quasi non parla, proprio come in Kitano o in Johnnie To ma senza le sottolineature dei due registi orientali. Il personaggio principale è infatti naturalissimo e subito ci conquista. La storia d’amore che sostiene Drive è recitata con sguardi, gesti, sorrisi ed è pienamente credibile. I sentimenti affiorano grazie ad una recitazione misurata ed efficace, gestita alla grande dal regista. Anche il rapporto tra ‘il ragazzo’ e il suo datore di lavoro Shannon emana l’affetto che c’è tra padre e figlio senza aver bisogno di enunciarlo e senza scene madri. Siamo di fronte al cinema puro: immagine, volti. E azione. Perché il bello di Drive è che è un film d’azione, in cui ci sono inseguimenti, schianti, rapine, mafia, morti e sangue. E ci sono i cattivi, e i perdenti. E c’è molto sentimento. Il gruppo di lavoro trova un’intesa assoluta e oltre a sceneggiatore, regista, direttore della fotografia, cast al completo, da segnalare un ottimo Badalamenti per l’accompagnamento musicale.

Numerose le scene da antologia oltre a quella iniziale. Bellissimo quanto avviene nell’ascensore con Winding Refn che si supera. Significative e fortemente comunicative le scene con Gosling, Irene e il marito. Tocchi di classe sparsi qua e là, come l’offerta di uno stuzzicadenti al bimbo, il trucco da stunt per la vendetta, le girls nel camerino and so on. Quasi sicuramente film dell’anno.