cinema

domenica 21 novembre 2010

ROBERT WYATT


SCORCIATOIE DISCOGRAFICHE
1974 – 1985 – 2007



1974 - A prescindere da ciò che è successo prima. Le vette musicali dei Soft Machine, è chiaro, con quel momento rivelatore di Moon in June, magari nella versione eseguita per il rimpianto John Peel; il pasticciaccio della sbornia –meno male– e della caduta. Ma forse non si può non prescindere dal fatto che tutto porta al capolavoro, all’epifania, complice non solo Canterbury ma anche Venezia. E l’amore coniugale, si sopravvive a tutto, si distrugge il distrutto per ricostruire a intarsi la copia fedele dell’innamorarsi. Ed è Rock bottom. Un miracolo. Rock bottom è il monumento, la vera opera rock ‘progressivamente’ intesa. È il compimento, l’arrivo dei dieci anni che sconvolsero il mondo. La fusione perfetta di musica colta bianca e nera pronta per un pubblico molto più vasto rispetto a sperimentazioni ‘alte’ e quindi non ‘pop’ ma d’élite.
Con Rock bottom, l’abisso, il fondo toccati sono un vertice, il perfetto approdo, lo snodo che chiude un’epoca. Dopo di esso si aprirà un’altra fase e Robert sarà ancora lì, a dire la sua con quella voce improbabile ma irrinunciabile.

1985 - Old rottenhat è la proiezione speculare di Rock bottom. Nel periodo che separa i due dischi, musicalmente parlando, non c’è molto da segnalare. Altri i fatti importanti: incontri, collaborazioni, soprattutto l’impegno politico e il consolidarsi di un’aura che fanno di Robert una figura di riferimento per le menti migliori della nuova generazione. Le illusioni sono crollate e i Settanta si chiudono con la lady di ferro al potere. È l’inizio ufficiale del neoliberismo. Robert tra sconforto ed alcol, tra comunismo e new wave coglie nuovamente lo spirito dei tempi. Prosciuga la vena gonfia di rabbia e carica vitale che aveva portato a Rock bottom e fa uscire un album minimalista, l’esatto obbosto del capolavoro del 74. Voce e testi in primo piano. Tastiere congelate e drum machine, linee melodiche modulate per impercettibili variazioni che però catturano e colgono nel segno. Come è un segno che il disco scivoli via, quasi inosservato, ma Robert è lì, attento a fiutare quello che gira intorno. E il tempo gli darà ragione, come sempre.


2007 - Nel frattempo è successo di tutto. La globalizzazione per Robert si declina in internazionalismo localista. Il suo sguardo – e orecchio – è pronto a riconoscere i sussulti di resistenza che provengono da luoghi desueti per la cultura rock generalmente intesa. In particolare è il mondo latino ad interessarlo, anche per l’amore per la Spagna,frequentata fin dall’infanzia, con quel carico di passioni che la guerra civile e la lirica spagnola hanno lasciato negli intellettuali inglesi del Novecento. L’Operacomica è, ancora una volta, il frutto bello e maturo di stagione. Anche se Comicopera ha ben poco di comico. Si respira la polvere della guerra, perché dal 2001 siamo in guerra e tre sono i filoni che il disco segue. Uno è quello della guerra appunto. Ci sono conflitti, bombe, brandelli di corpi che inevitabilmente portano a cercare conforto negli affetti familiari che costituiscono l’altro filone seguito. Vi è poi lo spazio per la speranza utopica e un po’ rassegnata del guardare a momenti passati di rivoluzione. I tre atti di Comicopera lasciano ancora una volta una traccia profonda e piacevole da seguire.

2 commenti:

  1. molto bello il tuo post..come sai,considero rock bottom il più grande album di sempre..

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  2. grazie brazzz. rock bottom è anche nella mia top ten che presto posterò...

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