cinema

mercoledì 30 giugno 2010

TIZIANO VECELLIO

TIZIANO, LA CARNE LA MORTE IL COLORE

























“Se Tiziano avesse veduto le cose di Michelagnolo, quelle di Raffaello e le statue antiche et avesse studiato il disegno, avrebbe fatto cose stupendissime”. Cose stupendissime il Tiziano le ha fatte, checché ne dicano Bastiano del Piombo e il Vasari.

Zoomata eccentrica su tre episodi tardi, dopo il 1570. Il maestro più che ottantenne espolode in dipinti di materica violenza, colore dato a grumi, con le dita, in una disperata lotta contro il tempo, contro il fato.
Tre opere per i tre campi canonici di ispirazione: mitologia classica, storia romana, vicende testamentarie.
Nell’Apollo scortica Marsia di Kromeritz Tiziano sceglie di concentrare l’attenzione sul momento più brutale. Scelta audace e innovativa rispetto all’iconografia tradizionale che rappresentava il momento del giudizio anziché la punizione. Le figure certamente dipinte dal maestro, Marsia, Apollo, lo scorticatore, il satiro, Mida, esprimono stati d’animo diversi componendo un equilibratissimo cerchio attorno a colui che aveva osato sfidare il dio. Marsia, asse compositivo del dipinto, accetta la pena senza far trasparire sofferenza. Apollo, quasi superbo, esegue con piacere la punizione. Lo scorticatore invece svolge il suo compito con il distacco della perizia tecnica. Al contrario il satiro esprime angoscia e porta il secchio d’acqua per alleviare la sofferenza. Mida infine, nella tipica posizione malinconica, medita sulle conseguenze dell’agire umano. Il tutto avvolto in una sanguigna atmosfera quasi impressionistica.

In Tarquinio e Lucrezia di Vienna Tiziano chiude lo spazio per fissare la drammaticità del gesto. I limiti della tela non riescono a contenere le figure che lo sfondo spinge quasi verso lo spettatore. Sono le braccia che danno la profondità. Braccio destro di Lucrezia tenuto saldamente dalla mano sinistra di Tarquinio verso l’alto; braccio sinistro di Lucrezia a tentare una difesa disperata e braccio destro dell’omicida nell’atto di sferrare il colpo. Anche qui i colori sono impastati con il sangue che sta per essere versato.

 
L’Incoronazione di spine di Monaco è tutta un incrocio di linee. Dalla diagonale che imposta il campo dell’azione costituita da gradini-cristo-arco e su verso un cielo plumbeo e minaccioso, alle varie linee dei bastoni e l’incrocio di spada ed alabarda in primo piano. Composizione serrata di figure e di gesti illuminati dal taglio obliquo della luce che si addensa sulle prominenze dei corpi e scivola invece sul nero dello scherano che incita alla violenza.


martedì 29 giugno 2010

JOHN HUSTON

GIUNGLA D'ASFALTO - 1950

JOHN HUSTON

Huston è spietato. Scrive una sceneggiatura nera, notturna, in cui i personaggi si muovono sospettosi, ognuno mosso dal desiderio di soddisfare i propri vizi, come non manca di sottolineare il regista, che nel tutti contro tutti non grazierà nessuno. Il destino è segnato fin dall’inizio, l’affair non può che finir male: “E’ il fato, che fare contro il fato?”, dirà il razionalissimo dottore tedesco.

Film urbano e notturno, fatto di scuri e fumosi interni e di esterni che sono una giungla d’asfalto, un micidiale percorso ad ostacoli. “In città ci si insudicia” dice Dix e lo sa bene Doll che a tale affermazione non trattiene le lacrime; “Se vuoi l’aria pura non cercarla in questa città” conferma lo scassinatore. Ancora, “la città è una giungla, gli uomini sono bestie” sentenzia nel finale il commissario anche se ciò contrasta proprio con la scena conclusiva, l’unica in cui splende il sole, in aperta campagna.

Huston è regista di scrittura, è nato sceneggiatore e il film è un grande esercizio di scrittura. Nella prima parte, vengono presentati i personaggi, molti e tutti connotati negativamente dai comportamenti ma più spesso dalle definizioni che vengono date vicendevolmente.

Dix, “ganster di terz’ordine”, “ladro da strada maestra”; il dottore, secondo cui “tutti lavoriamo per i nostri vizi” e non sarà il fato, come crede lui a tradirlo ma un vizio irrefrenabile, proprio lui che aveva previsto ogni cosa al dettaglio. Ancora, Emmerich l’apparentemente rispettato avvocato, “fallito per una ragazza come Angela” e la stessa Angela una bellissima Marilyn che dice di sé “fate largo, arriva l’atomica”; il biscazziere che suda quando vede il denaro e si confermerà debole e pavido come da prima impressione; il barista Gas “storpio, gobbo maledetto”; il detective privato che confessa di essere stato afflitto per anni da un complesso di inferiorità e i poliziotti, dei quali bisogna sempre diffidare perché “sul più bello ti girano le spalle”, specie se corrotti come il tenente Ditrich …

Una schiera di deboli, falliti, miserie umane che si scatenano nella seconda parte del film, quando entrano in azione nella giungla urbana. Ed il destino si compie, il grande regista manovra i personaggi e li indirizza nella direzione da lui stabilita, inevitabile.


Doll si strappa le ciglia

domenica 27 giugno 2010

CELAN MANDELSTAM KIEFER

CORRISPONDENZE

 PAUL CELAN Nachts ist dein Lieb                                   

La notte il tuo corpo è bruno di febbre divina:                       
la mia bocca agita fiaccole sopra le tue guance.                    
Non sia cullato chi non ebbe ninna nanna.                                    
La mano colma di neve, sono venuto a te,                             

ed incerto su come i tuoi occhi s’inazzurrano                         
nella ronda delle ore. (La luna di un tempo era più tonda.)    
Finito tra i singhiozzi entro tende deserte è il prodigio,            
dura di ghiaccio la piccola brocca del sogno – che importa? 

Ricorda: nel sambuco pendeva, nerastra, una foglia –           
Il bell’emblema per la coppa del sangue.                               

Traduzione di Giuseppe Bevilacqua                                      


ANSELM KIEFER  Margarete - da Paul Celan


















OSIP MANDELSTAM Versi sparsi

Irreparabile è questa notte
Ninna nanna, su, dormi!

Ultim’ora di veglia delle ronde cittadine
e fiaccole ardono sull'acropoli

Mi piego al rito della notte
A scrutare la cera una ragazza è intenta

L’acqua all’orlo ghiaccia e si rapprende
Tenero il gelo di una mano ignota; e sagome di scuri abeti

In un turgore di sangue venoso
Preinvernali fioriscono i roseti

Traduzione di Remo Faccani

sabato 26 giugno 2010

MUSICA DAL MALI

MALI
Itinerari musicali








Il Mali, periferia dell’impero, è un luogo centrale per la ricca proposta musicale, che affonda le radici nella centenaria tradizione mande ma che ha subito diverse contaminazioni culturali dovute anche alle varie etnie che compongono la popolazione locale. Il Mali è un paese tra deserto e savana, con popolazione tuareg e arabo-berbera al centro nord, etnie sub-sahariane nel sud, la parte dove scorre il Niger e si concentra oltre il 90% dei 12 milioni di abitanti. La musica maliana si è inoltre aperta alle influenze occidentali più diverse, dal blues al jazz al rock.



Breve campionario di grandi maliani.



Ali Farka Touré, il ‘bluesman del deserto’. Morto nel 2006, suoi capolavori l’omonimo del 1988 e soprattutto In the heart of the moon del 2005, testamento malinconico e appassionato in cui la polvere del deserto si impasta con il blues più struggente.



Salif Keita, il cantante albino dalla voce che mescola i nashid islamici al cosmopolitismo occidentale. Aperto alle collaborazioni(Joe Zawinul, Cesaria Evora) è una delle star della musica africana. Notevole il cd Moffou del 2002



Etno pop per il duo Amadou&Mariam, godibile Dimanche a Bamako, 2005, prodotto da Manu Chao, con le bellissime Politic amagni e Djanfa.



Esplosivi i Tinariwen, gruppo tuareg impegnato a sostenere la causa del proprio popolo. Musica tradizionale, chitarre elettriche, percussioni e uno spirito decisamente rock. Aman Iman del 2007 è il loro miglior lavoro, con la notevole Matadjem Yinmixan



Con Ballaké Sissoko siamo tra i grandi virtuosi della Kora, lo strumento della musica ‘classica’ del Mali. Nel 2005 c’è l’incontro con Ludovico Einaudi, e il cd Diario Mali per piano e kora. Disco imperdibile, giri melodici che rapiscono, perfetta interazione tra due personalità lontanissime. La musica fa miracoli.



E veniamo al Maestro, Toumani Diabaté, classe 1965, sounatore di kora, ultimo discendente di sounatori di kora, strumento a corde ‘povero’ che nelle sue mani diventa la porta del paradiso. È uscito quest’anno il cd della collaborazione con Ali Farka Touré, del 2005, poco prima della morte del grande chitarrista, quando i due stavano lavorando al disco di Touré, In the heart of the moon. Era uscito nel 2002 il progetto Mali’s music con Damon Albarn, altro capolavoro, e soprattutto due anni fa Toumani incide, terzo disco solista in 20 anni, The Mandé Variations, vertice assoluto della musica contemporanea. Incide poco, Toumani, ma quel che tocca diventa oro.


venerdì 25 giugno 2010

OTTO PREMINGER

LAURA - 1944
OTTO PREMINGER

Regista solido e concreto, Otto Preminger è uno dei grandi professionisti di Hollywood, attivo per una cinquantina di anni con titoli che spaziano dal noir ai drammi sociali, dalla commedia brillante al musical al film storico. Pur restando un regista da major, quindi pienamente inserito nel meccanismo dell’industria cinematografica, con Laura(Vertigine in italiano) Preminger firma un noir decisamente innovativo e non convenzionale. Il film, del 1944, si dimostrerà un ottimo successo di pubblico e critica, dando un certo potere contrattuale al regista.
La scena iniziale è sorprendente. McPherson, poliziotto che indaga sull’omicidio di Laura, una bella professionista di successo, interroga un amico di lei. L’interrogatorio si svolge in un raffinato appartamento, mentre l’interrogato, un giornalista dannunziano, sta scrivendo a macchina nella vasca da bagno. Il maturo esteta, il poliziotto impacciato e ‘tutto muscoli’, come verrà sottolineato, e Laura che conosciamo grazie un ritratto che turba il detective. Attraverso dei flash back veniamo a conoscenza della vittima, della sua spregiudicatezza e libertà di vedute, ma anche di una certa ingenuità, specie nel suo rapporto con il fidanzato Jimmy, un altro ‘tutto muscoli’ che non tarda a consolarsi con chi può garantirgli immediato piacere e denaro, anche se si tratta della zia di Laura. Quindi un noir in cui l’omicidio è già avvenuto, il detective è un debole dedito all’alcool, la vittima è una donna in carriera succube del fascino maschile, il fidanzato un gigolò, il narratore un decadente effeminato, la zia una cinica amorale e poi il colpo di scena.
Girato prevalentemente in interni, in bianco e nero naturale, senza effetti espressionistici di regia, il film si basa sui caratteri e sul plot, dimostrando l’asciutta concretezza di Preminger, per un risultato molto diverso rispetto agli altri grandi noir del periodo(Wilder, Hitchcock, Huston). Si direbbe un nero da camera, con fuori la pioggia che batte incessante.


Emblematico il dialogo tra la zia Anne e Laura
Anne: che ti prende Laura?
L: sono un po’ nervosa
A: anch’io. McPherson sospetta Jimmy
L: pare che sospetti anche me, e così fanno anche certi amici miei
A: tu? Ma è assurdo, mai potresti fare una cosa simile
L: e Jimmy?
A: non credo che sia stato lui ma ne è capace. E tu ti interessi all’ispettore come lui a te?
L: mah, l’ho visto ieri per la prima volta
A: è più che sufficiente talvolta, comunque è meglio lui di Jimmy. Chiunque lo è. Jimmy è più adatto per me, posso pagarmelo e lo capisco bene, è un poco di buono ma è lui che voglio. Io non sono una persona per bene e nemmeno lui. Sa che io lo conosco e sa anche che non m’importa, del resto. Noi ci apparteniamo, siamo due deboli alla deriva, lui è come me, per questo lo so capace di uccidere. Anch’io c’ho pensato. Anne esce.

Macchina da presa fissa, camera da letto, Laura seduta davanti ad uno specchio fuma, sguardo nel vuoto. Anne, in piedi, si ritocca accuratamente il trucco fissando lo specchietto, si sistema il cappellino ed esce in un gioco misurato di immagini riflesse nei vari specchi della camera.
Posa delle attrici, contesto scenico, fissità della ripresa, campo stretto che si allarga grazie alle superfici riflettenti, eleganza di arredi, abiti, figure e cinismo del dialogo compongono una insuperabile lezione di cinema.

mercoledì 23 giugno 2010

JAMES ELLROY

IL SANGUE E' RANDAGIO


JAMES ELLROY

Nuovo romanzo di James Ellroy, Blood’s a rover inizia da dove si era chiuso il bellissimo Sei pezzi da mille. Viene coperto un arco di tempo che va dal 14 giugno 1968 all’11 maggio 1972, con un ante al 1964, fondamentale snodo di convergenza e divergenza di tutte le fila del racconto, e un post aggiornato all’oggi in cui si tenta un bilancio provvisorio.
Quattro le figure-guida del romanzo: il cinico agente FBI, il mafioso illuminato, il guardone sfigato, la sabotatrice comunista. Ellroy centrifuga tutto, Grande Storia, esistenze minime, narcotraffico, woodoo, complotti e controcomplotti, ideologia, razzismo e pantere nere. Il frullatore non è chiuso e brandelli di carne e sangue randagio schizzano da ogni parte.
Più nero e disperato dei precedenti, da leggere d’un fiato. Ellroy è come sempre magistrale.

martedì 22 giugno 2010

JOHNNIE TO

JOHNNIE TO
Scorciatoie filmografiche  Parte 1


THE MISSION - Movimento statico


Nel 1996 dopo aver già diretto un buon numero di film, il giovane To, classe 1955, fonda la casa di produzione indipendente Milkyway Image, che diventa il punto di riferimento della cinematografia di Hong Kong.  

Prima opera di un certo peso è The mission del 1999. Siamo in pieno genere. Scontri tra bande rivali nella HK criminale,un boss è in pericolo e cinque guardie del corpo devono proteggerlo. Plot al minimo e situazioni modulari che si ripetono. Però piccoli scarti segnano la differenza tra questo film e un qualsiasi altro film dello stesso genere. Innanzi tutto le contaminazioni con il western che torneranno in altri titoli di To. Fondamentale è anche la caratterizzazione psicologica dei personaggi e il loro progressivo costituirsi gruppo, legato da sempre più strette relazioni affettive, nel solco del cameratismo virile che è cifra del regista. Vi è poi un altro scostamento dal genere, che potrebbe rappresentare un ossimoro. Infatti pur essendo The mission un action movie esso si presenta come statico, di posizione, nel quale i momenti forti sono costituiti delle varie sparatorie. In queste sequenze To dimostra la sua abilità posizionando gli attori come pedine sulla scacchiera e avvolgendoli con una ripresa controllata e distaccata. Con The mission To compie un salto qualitativo e si afferma come grande regista a livello internazionale.

Del 2003 è PTU(Police Tactical Unit). Un agente di polizia scivola su un pesce e perde la pistola. Inizia il carosello per le strade notturne di Hong Kong, dove si incrociano destini fino al luogo della rappresentazione finale, Canton Road, un po’ castello di Calvino, un po’ OK corral. Alla fine è una banana su cui scivolare e ritrovare così la pistola perduta, e il tempo che tra le due cadute si era dilatato, espanso, torna a chiudersi e a seguire il suo corso. In quella che è la durata filmica, telefoni e telefonate, ‘non si capisce chi chiami chi’, pattuglie tattiche, boss, funzionari, banditi, bimbi in bicicletta, tutto in una notte, le quattro l’ora x, atmosfere sospese in dominanza di toni blu. Le quattro, Canton Road, il mega cartellone pubblicitario che domina lo spazio vuoto (‘bevete più latte…’) dove va in sena la sparatoria, statica, come vuole la tradizione del maestro To, in cui gli attori prendono la posizione e sparano immobili e allo scoperto, riprese in slo-mo. Poi ognuno racconta la sua versione nel verbale d’ordinanza. Il cerchio si chiude, il bimbo procede in bici e l’alba si avvicina, tutto tornerà ‘normale’. To usa il film di genere, del quale conosce e sa gestisce ogni possibilità, per esporre la sua concezione del mondo, estetica ed esistenziale. Un po’ come Ariosto usava il poema cavalleresco.

domenica 20 giugno 2010

GIOVANNI LINDO FERRETTI

GIOVANNI LINDO FERRETTI

On n’est pas sérieux, quand on a dix-sept ans
Et qu’on a des tilleuls verts sur la promenade
A.R.




Non si può essere liberali a sedici anni.
Per una mente estrema era doveroso scegliere. Tra la svastica e la falce era la due l’opzione giusta. Lo sguardo ad est implicava anche riferimenti culturali che appagavano il senso estetico. L’iconologia del socialismo reale, il costruttivismo, i caratteri cirillici avrebbero dato vita a CCCP. Ricordo il bellissimo singolo Ortodossia in vinile rosso. La loro musica non m’interessava, anzi, non era proprio di mio gradimento, ma il concept grafico-semantico era notevole, in linea, è il caso di dire, con le cover iperrealistiche dei primi Depeche Mode, con i fiorentini Pankow, la fanzine apuana МАЛАРИА o gli iugoslavi Leibach. La ricerca insomma dell’inserimento straniante in contesti altri come Punk Islam, sulla scia di Rock in the Casbah.
Ci voleva la Glasnost per rendersi conto del fallimento politico del modello marxista e del suo non più essere uptodate. Nasce la Confederazione degli Stati Indipendenti e nasce CSI. Ora la parola d’ordine è l’antagonismo internazionalista, non c’è più l’URSS, c’è sempre una Mongolia lontana e genuina. Sono gli anni Novanta che porteranno a Seattle e GLF continua ad essere ‘Der Suchende’ alla ricerca di nuovi zeitgeist.
I tardi anni zero virano al neocristianesimo primitivista e forse è questa la più dirompente delle linee estetiche da seguire per un ex punk comunista e va riconosciuto a Giovanni Lindo che lo spirito è rimasto quello di un decadente irrequieto, un Majakovskij dell’Appennino ed in fondo è giusto così, non si può essere seri a cinquant’anni.
A presto la recensione di ConFusione

CALCIO

PAOLO SOLLIER

Lino era scettico “ora voglio vedere senza Curi il Perugia come fa”.
Ma la mia fede era incrollabile. Sarei stato ripagato la stagione successiva con l’incredibile lotta per lo scudetto e l’imbattibilità. E poi in quegli anni tifare Perugia era anche una dichiarazione di appartenenza politica

Chi sono? Paolo Sollier, calciatore professionista e compagno militante. Quindi, quando tirano in ballo il padrone e balle simili, il mio rapporto con lui si esaurisce con la partita. Del mio tempo libero ne usufruisco come voglio, magari cercando di attuare quello in cui credo. Tutto il resto son chiacchiere senza importanza.
Perché gridare al miracolo se leggo Pavese, Evtuscenko o Masters? L'errore non è in me, ma si trova dall'altra parte della barricata. Se il calcio è fatto di qualunquisti, la colpa è soltanto nostra che ci troviamo a nostro agio in quella dimensione superlativa in cui ci pongono i tifosi, i giornali, la radio e la televisione. E allora, è chiaro che chi non ha altri interessi fa di tutto per restarvi il più a lungo. L'Italia va male, siamo un paese sgangherato col record mondiale delle crisi di Governo. Siamo scontenti di tutto e di tutti, difficilmente riusciamo a trovare la causa dei nostri malumori, non riusciamo più a comunicare, inariditi nel nostro pessimismo e convinti che niente funzioni in maniera decente. Ci sentiamo impotenti, ma quel che è peggio, ci sentiamo pure presi in giro. A questo punto due soluzioni: o la presa di coscienza politica, l'impegno a rimboccarsi le maniche e ad agire convinti che solo così si possa ritrovare il bandolo della matassa, cioè, in una presa di coscienza comune, socializzante, oppure l'altra, più comoda e perfino più divertente in apparenza: lo stadio, per l'appunto. Se le cose vanno bene, tutto finisce nel migliore dei modi e per una settimana i problemi sono rinviati. Se le cose vanno male, ecco allora la violenza, lo sfogo rabbioso di tanti malumori compressi. 1976

La cosa che mi dà più fastidio è il revisionismo di questi tempi, le teorie dei voltafaccia come Giuliano Ferrara. Sembra che il Sessantotto abbia generato solo quei mille cretini che presero le armi e spararono, dimenticando tutto il resto. E invece il Sessantotto ha contribuito al progresso sociale e civile dell' Italia. Penso al femminismo, all'ecologia, ai movimenti per i diritti civili: tutto ciò nacque allora. Il fallimento, se di fallimento è corretto parlare, è che ci illudemmo che si potesse cambiare il mondo. Il mondo non è cambiato, però il Sessantotto lo ha migliorato. 2008

sabato 19 giugno 2010

FUMETTI

FRIGIDAIRE


Andrea mi porta una rivista, fresca di uscita, primo numero.
“Sono quelli del Male, guarda che grafica, che colori, quasi Alessandro Mendini”
“E questo? ‘Freezer: incidenti mortali durante attività erotiche’. Che cazzo è, un allegato?”
“Toh, te la regalo, leggitela”

Sì, c’è stato il Male ma quello ara ancora una filiazione del sessantotto, poi Cannibale, dove si intravede una rivoluzione in atto, molto settantasette e non pienamente compiuta. Novembre 1980 esce Frigidaire e cambia tutto. Il Postmoderno irrompe nella cultura pop italiana. Le merci sono allineate con il loro packaging sgargiante. Ecco il paradigma della nuova era di edonismo e reificazione quotidiana. Fine dell’utopia, shopping compulsivo come appagamento, viaggiare tra le merci, come Vincenzo Sparagna titola il primo editoriale. Merci di tutte le qualità, per un lettore onnivoro che si ciba di gourmandise(Mario Schifano, William Borroughs, Raymond Chandler, Devo) ma anche di rifiuti e scarti di macelleria(Schiuma, Freezer, Bordello). E poi ci sono loro, i fumettisti, Liberatore, Mattioli, Pazienza, Scozzari, Tamburini. Da allora, fino a metà decennio, l’appuntamento con il mensile era una gioia.

venerdì 18 giugno 2010

VIKRAM CHANDRA

GIOCHI SACRI
VIKRAM CHANDRA

La mole non è incoraggiante, oltre 1000 pagine ma basta leggere le prime righe ed è come immergersi in un fiume in un caldo pomeriggio estivo, la beatitudine di lasciarsi trasportare. E di romanzo-fiume si tratta. Giochi sacri è un po’ tutto. È un affresco sociale sull’India dall’indipendenza ad oggi, è un magistrale esercizio di stile ‘cinematografico’ su come raccontare la violenza, è un romanzone classico con i suoi tantissimi personaggi, tutti credibili, è lo scontro-incontro tra poliziotto e boss, è un saggio alla Gomorra che svela l’antropologia criminale. È un memory novel ed anche un’escursione nell’attualità del fanatismo religioso. Chandra domina la proteiforme materia e riesce a non farsi scappare nulla di mano. Giochi sacri è un’esperienza di vita.

mercoledì 16 giugno 2010

CLASSIFICHE

CD PIU' ASCOLTATI GENNAIO-GIUGNO 2010

1. TARM  primitivi del futuro

disco un po' monocorde, ma i motivetti in levare prendono e si canticchiano volentieri. le ossa e codalunga su tutti








2. DENTE  l'amore non è bello

canzoni d'amore non banali, con un attacco da anima latina









3. THE MAGNETIC FIELDS  69 love songs

all'hard discount del pop, molto spam ma papa was a rodeo è da antologia







4. FLAVIO GIURATO   il tuffatore

rispolverato resta un capolavoro assoluto. flavio giurato non sbaglia un pezzo e consegna uno dei dischi italiani più belli di sempre








5. GORILLAZ   plastic beach

buon disco, ospiti blasonati. è molto usa e getta, come la plastica









6. ANIMAL COLLECTIVE   merriweather post pavillion

dopo 10 anni di attività il collettivo fa centro. musica optical, come la cover. tra i best degli anni zero








7. ENZO CARELLA   se non cantassi sarei nessuno

peccato che la voce non sia proprio il massimo, disco di canzoni piacevoli. in particolare solitudine al cuore e la miseria








8. BAUSTELLE   i mistici dell'occidente

buono il concept con la citazione del grande zolla. il disco è da dimenticare. si salva solo le rane








9. TARM   la seconda rivoluzione sessuale

primitivi trascina in classifica il precedente. tra alti e bassi, alti: in amore con tutti e il mondo prima








10. CASINO ROYALE   jungle jubilee

un ripescaggio, palma in gran forma con un'eccellente sezione fiati

martedì 15 giugno 2010

LUCIO FULCI

NON SI SEVIZIA UN PAPERINO – 1972

LUCIO FULCI


Il film ha alle spalle un meticoloso lavoro di scrittura e un’attenta scelta degli attori, come Barbara Bouchet, Tomas Milian, Florinda Bolkan, Irene Papas per un cast di prim’ordine con ambizioni internazionali (sarà infatti un buon successo anche in Francia, Spagna, Regno Unito e distribuito negli USA).
La storia segue un caso di omicidi seriali le cui vittime sono alcuni bambini di un paese-tipo dell’Italia meridionale. Entrano successivamente in scena i molti personaggi, spesso anche collettivi e tutti, anche se sinteticamente, ben definiti. Tra i collettivi compaiono le forze dell’ordine, i giornalisti, gli abitanti del paese, i parrocchiani, che partecipano alla storia come veri e propri soggetti aventi un ruolo specifico e all’interno di essi il regista si cura di evidenziare lievi sfumature e contrasti(come tra magistrato ‘forestiero’ e maresciallo del luogo). Vi sono poi i ruoli principali: lo scettico giornalista, la bella e ricca eccentrica, la fattucchiera, il giovane parroco post conciliare, a cui si aggiungono altre figure corollari ma non per questo meno significative, come il vecchio mago, lo scemo del paese, la piccola minorata, la madre del parroco.
Molta rilevanza ha il contesto geografico e sociale in si svolge il film, un piccolo centro del Sud. Il luogo fisico nelle sue componenti paese/campagna e lo sfondo culturale vengono ben sottolineati dalla regia anche grazie all’ottima fotografia di Sergio D’Offizi. Si segnalano le vedute del bianco blocco monolitico dell’abitato contro il cielo, paese-comunità arroccata a superstizioni e pregiudizi, dove sacro e magia nera, giustizia sommaria e aderenza alla liturgia religiosa si mescolano. E si potrebbero citare le scene in chiesa, i linciaggi nei confronti dei ‘diversi’ e il messaggio di sostituzione del giudizio divino che collocati nello scenario meridionale fanno pensare all’influsso dell’opera di Ernesto De Martino su regista e sceneggiatori.
Ricorrente è poi, in numerose inquadrature, la presenza dell’autostrada con funzione simbolica. Essa rappresenta infatti l’unica possibilità di evasione quando permette l’arrivo delle prostitute ma anche il contatto con la modernità, con il Nord e non a caso i due personaggi più ‘moderni’ sono proprio settentrionali.
Il film è anche impreziosito da alcuni momenti di grande impatto visivo ed emotivo, come l’audace scena in cui Barbara Bouchet nuda provoca una delle giovani vittime, nella quale fu utilizzato come controfigura del minore colui che sarà il ‘nano della Termini’ protagonista di un noto fatto di cronaca raccontato nel film ‘L’imbalsamatore’ di Matteo Garrone. Oppure il linciaggio al cimitero con i primi piani delle ferite inferte dagli assassini.
Un po’ scontata la soluzione del caso e richiedeva maggiore attenzione la scena conclusiva con qualche scintilla di troppo.

GEOPOLITICA

EUROPA ALLA DERIVA


RIPOSIZIONAMENTO DEGLI STATI EUROPEI.

REGNO UNITO Finalmente diviso, i recenti disastri economici e di conti pubblici non possono più tenere nascosta l’attrazione fatale verso gli stati del sud.

IRLANDA Anch’essa scivola in basso, sempre più PIGS.

PAESI BALTICI E POLONIA La Nuova Europa più atlantista degli atlantici veleggia verso gli USA lontano dai russi cattivi.

CEKIA La rivoluzione di velluto ha attuato ciò che il Belgio sogna da oltre un secolo, provino a scambiarsi di posto.

BELGIO Al posto della Cekia il Belgio potrà separarsi, come fanno sperare le recenti elezioni.

SVIZZERA Non più un’isola dentro all’UE, condividerà con la Norvegia pil pro capite ed euroscetticismo.

AUSTRIA Scrollata di dosso la Svizzera, un po’ più occidentale e con meno fantasmi mitteleuropei.

SLOVENIA E CROAZIA Ora confinano con la Germania e la Serbia è più lontana.

UKRAINA E BIELORUSSIA La nuova posizione, sul Baltico, orientata verso i Paesi nordici darebbe una mano sulla strada dello sviluppo e del senso civico

KOSSOVO E MACEDONIA Scambio di posizione così il primo non confina più con la Serbia e la seconda non confina più con la Grecia.

ITALIA Ovviamente divisa con il Sud sempre più afro-balcanico.

lunedì 14 giugno 2010

TAKASHI MIIKE

ICHI THE KILLER - 2001

TAKASHI MIIKE



Siamo di fronte ad un manga, quindi assenza di profondità ed eccesso come parola d’ordine.
Superata la repulsione alla prima scena violenta, tutto fila liscio e il film diventa comico, con punte di delirio splatter-kitsch assolute. C’è anche uno sviluppo narrativo, diviso in due filoni paralleli che ovviamente finiscono per convergere ed intrecciarsi. Il percorso A prevede la ricerca di un boss yakuza scomparso da parte del suo vice, un Capitan Harlock-The Joker sado-maso biondo platino vestito di fucsia. La sua comparsa in scena è fantastica, con il fumo della sigaretta che fuoriesce dalle guance a zip. Il percorso B ha come protagonista un Goldrake introverso e ritardato, Ichi il killer. Egli viene ‘comandato’ da un ipnotista che gli fa commettere i delitti più atroci e sanguinolenti con ‘lame rotanti’ inserite nei talloni della tuta di gomma nera da ninja.
Indigesta la prima scena di tortura con il torturato sospeso ad ami d’acciaio che gli tendono la carne della schiena, poi ci si abitua e diventano esilaranti le fantasiose trovate successive. Si ricordano una vittima infilzata dentro ad un guscio di televisore; un violentatore sadico tagliato letteralmente a metà, dalla testa all’inguine, che si divide in due; un orgasmo avuto strappando le mascelle di un malcapitato; lingue mozzate, braccia sradicate dal corpo ed altre amenità che dal comico scivolano nel ridicolo. Fosse stato girato negli anni Settanta sarebbe un cult, ma negli anni Zero è solo un po’ divertente.

FRANCO BATTIATO

domenica 13 giugno 2010

TOMMASO LANDOLFI

TOMMASO LANDOLFI

LE DUE ZITTELLE - 1943


Paolo Veronese - La scimmia Tombo?


Piena Seconda Guerra Mondiale, isolato nel ritiro di Pico Farnese Tommaso Landolfi compone il racconto lungo/romanzo breve Le due zittelle. Già il titolo è programmatico sia dal punto di vista semantico che sintattico. Il rimando ad un mondo provinciale, ottuso, in naftalina è immediato, a cui si aggiunge lo sberleffo della doppia t, quasi a bilanciare la grafia ‘scimia’ con cui verrà appellato il protagonista della vicenda. Le devote sorelle Lilla e Nena vengono rappresentate dal narratore nella loro ‘scuorante’ esistenza quotidiana che non vale la pena di descrivere, secondo le sue prime parole. Entriamo subito in un ambiente che con pochi tratti e con l’uso di una lingua ricercata e desueta si materializza vivido e preciso: un mondo imbalsamato. Dopo la morte della vecchia madre le sorelle ricevono le rade visite di qualche parente, partecipano alle funzioni dell’attiguo monastero e soprattutto si curano della scimia Tombo, ricordo del defunto fratello. Sarà proprio il vitalissimo Tombo a rompere l’equilibrio esistenziale delle due sorelle. Dopo l’avvio in chiave crepuscolare, il racconto assume i toni del giallo, e si succedono le tipiche tappe narrative del genere: misfatto, accusa, indagine, smascheramento, processo, punizione. Seguendo i vari gradi del racconto, l’autore aggiunge un sempre maggiore sarcasmo al narrato ma riesce a farlo con un controllo perfetto della materia linguistica, coniugando oggettività, grottesco e una sottile ironia che giudica con leggerezza ma inesorabilmente quanto sta accadendo. In particolare, la grande capacità di Landolfi si manifesta nei tre momenti rappresentati come tre scene madri teatrali: il sacrilegio notturno di Tombo che celebra un’irriverente messa ; il dibattimento processuale tra due religiosi con funzione di accusa e difesa che si trasforma in paradossale disputa teologica; l’esecuzione del verdetto, dove il realismo macabro coincide con il culmine del crescendo narrativo. Non resta che una breve conclusione nella quale si tracciano le vicende successive dei personaggi della storia, sui quali si deposita, per dirla con l’autore ‘un’impalpabile polverina grigia’.

giovedì 10 giugno 2010

WYSTAN HUGH AUDEN

WYSTAN HUGH AUDEN
MUSÉE DES BEAUX ARTS 1938

Pietre Breughel - La caduta di Icaro  1569















Sulla sofferenza non sbagliavano mai,
i Vecchi Maestri: come ben comprendevano
il suo ruolo nelle vicende umane; come essa si svolga
mentre c’è chi continui a mangiare o ad aprire una finestra o solo gironzolare senza meta;
come, quando gli anziani reverenti appassionati aspettano
la nascita miracolosa, debbano sempre esserci
bimbi ai quali non importa particolarmente che essa avvenga, e continuano a pattinare
su uno stagno ai margini del bosco:
non dimenticavano mai
che anche l’atroce martirio necessariamente segue il suo corso
comunque in un angolo, in qualche sudicio posto
dove i cani continuano con la loro vita da cani e il cavallo del torturatore
gratta il suo innocente sedere ad un albero.


Nell’Icaro di Brueghel, per esempio: come tutto si svolge
molto serenamente rispetto al disastro; l’aratore può
aver udito il tonfo, il grido disperato,
ma per lui ciò non era che un insignificante fallimento; il sole splendeva
come doveva sulle bianche gambe inghiottite nelle verdi
acque; e la ricca ed elegante nave che doveva aver assistito
a qualcosa di straordinario, un ragazzo cadere dal cielo,
aveva una meta da raggiungere e placida veleggiava via.


Traduzione di eustaki

giovedì 3 giugno 2010

ARTHUR RIMBAUD

ARTHUR RIMBAUD
BONNE PENSÉE DU MATIN 1872


BUON PENSIERO DEL MATTINO

Alle quattro del mattino, l'estate,
il sonno d'amore dura ancora
nel sottobosco l'alba esala
l'odore della sera festiva.

Ma laggiù nell'immenso cantiere
verso il sole delle Esperidi,
in maniche di camicia, i carpentieri
già si agitano.

Nel loro deserto muschioso, tranquilli,
preparano le cornici preziose
di cui l'opulenza cittadina
riderà sotto i cieli finti.

Ah! per questi Operai seducenti
sudditi di un re di Babilonia,
Venere! lascia per un po' gli Amanti,
la cui anima s'incorona.

Oh Regina dei Pastori!
porta ai lavoratori l'acquavite,
che acquieti le loro forze
aspettando di tuffarsi in mare, a mezzogiorno.

traduzione di eustaki

mercoledì 2 giugno 2010

THE CLASH

SANDINISTA! 1980

THE CLASH
Con Sandinista nasce il global rock. Eccitatissimi i Clash assorbono come spugne stimoli musicali e narrativi dai più diversi contesti della realtà mondiale, specie se ‘combat’. La raggiunta e consapevole abilità di composizione consente loro di snocciolare canzoni come se stessero giocando ad un mistery game di cui si è scoperto il segreto e ora il gioco si può svolgere con disinvoltura ad occhi chiusi.
Sandinista è un divertimento impegnato e molto serio, i Clash ci credono e immergono pienamente le mani nel fangoso magma della realtà, del mondo, e lo fanno con l’entusiasmo, l’ingenuità e la forza di chi insegue un sogno pur sapendo che il presupposto rimane comunque il no future.
L’impressione iniziale è di essere ‘lost in the supermarket’. Si tratta di un’impressione bellissima quella di avere una così ampia scelta a disposizione, assaggiare qua e là passando tra i generi più diversi, vagare senza meta, curiosi di scoprire la prossima sorpresa, perché senz’altro sarà una sorpresa. Questo è Sandinista, un disco tutto per l’ascoltatore dove il cuore dei Clash pulsa dall’inizio alla fine innamorato della musica, della gente, del trasmettere musica alla gente. In quegli stessi anni si stava affermando un altro grande compositore di canzoni, Sting, con una differenza rispetto a Strummer: per i Police ogni canzone è costruita per essere una hit potenziale; per i Clash, almeno fino a Sandinista incluso, questo non avviene mai, anche se in Sandinista di hit tra le 36 traks se ne potrebbero trovare molte. Alcune segnalazioni seguendo la suddivisione del vinile.
Lato 1: ecco proprio il mondo delle classifiche, dei singoli e della felicità adolescenziale concentrata nei 2’e 39” di un successo qualsiasi, Hitville in UK, una motown sound ballad cantata dalle ‘voci bianche’ che torneranno in Career opportunity. Ma ecco anche il funky rap dei magnifici sette col quale per la prima volta un gruppo post-punk inglese apre alla scena nera newyorkese. Il lato si chiude con Something about england, bel testo sulla memoria storica del Novecento, canto punk, inserimenti orchestrali, tastiere pop, coro finale.
Lato 2: nostalgia del 1977 in Somedody got murdered; ancora, i vari ritmi neri, siano essi genericamente jazz o reggae, assumono timbri di acidità elettrica o si dilatano: la musica si polverizza, i suoni si moltiplicano e si amplia l’organico strumentale: percussioni, fiati su fiati, voci alterate, sovrapposte, il dub.
Lato 3: grande apertura col punk melodico di denuncia anticapitalistica di Up in heaven e poi arriva il Terzo mondo ormai occidentalizzato o forse l’occidente terzomondizzato di Let’s go creazy. If music could talk: una lunga linea melodica di sax e una doppia narrazione sovrapposta di storie quotidiane ed esotiche con il gruppo al massimo della forma. Un’altra sorpresa, lo spiritual nero di Sound of the sinners e siamo solo a metà albun
Lato 4:chitarre sparate, batteria secca, testo urlato, proprio di chi corre avendo la polizia alle calcagna e subito dopo radicale cambiamento di situazione con the equaliser, quasi un folk-reggae che dimostra le possibilità infinite di sperimentazione applicabili a forme musicali abbastanza rigide come la musica giamaicana. Washington bullets è una pop song latina dolce e melodica il cui testo tocca gli orrori del mondo: Cile, Nicaragua, URSS, Tibet. Semplicemente geniale nella struttura: orecchiabile, fresche percussioni da foresta tropicale, coretti femminili, voci da combattimento di galli, chiusura con note di hammond. Infine Broadway e siamo all’intrattenimento confidenziale swingeggiante che cresce con percussioni da reggamuffin
Lato 5: Charlie don’t surf, canzone da spiaggia anni ’60, solo di tastiere che tracciano tre giri di melodia, ingresso di chitarra e percussioni dal ritmo spezzato con testo tragico di guerra al Napalm. Il sottosviluppo di fame e ribellione di Kingston advice e la sommessa Street parade con la disperazione dell’inciso e le chitarre che ostinate si incrociano come spade nel refrain.
Lato 6: tra frammenti di studio e campionature, l’armonica americana di Version city, e una chiusura ironica, struggente,uno sberleffo geniale con il ritmo da reggae lento, i pizzicati acustici delle chitarre a ricamare dolci trame e poi pernacchie, rumori, un aereo che s’invola.